IL TRIBUNALE Rilevato che all'udienza dibattimentale del 14 aprile 2000 gli imputati Sole Claudio e Cascino Paolo si sono avvalsi della facolta' di non rispondere alle domande del pubblico ministero; Rilevato che i predetti, specificamente interpellati al riguardo, hanno specificato di non voler rispondere neppure alle domande concernenti il reato di tentata estorsione continuata in loro danno (capo B del decreto dispositivo del giudizio), in relazione al quale avevano, nella fase delle indagini, reso dichiarazioni a carico del coimputato Chiappini Paolo; Rilevato che in seguito a cio' il pubblico ministero ha chiesto, anche mediante memoria scritta allegata al verbale del dibattimento, che il tribunale sollevi questione di legittimita' costituzionale degli artt. 210/4 e 513 c.p.p., nella parte in cui consentono al coimputato - che rivesta la qualita' di persona offesa, nell'ambito del medesimo procedimento, in relazione a distinti capi di imputazione - di sottrarsi all'esame sul contenuto delle dichiarazioni accusatorie rese a carico di terzi sui fatti denunciati in qualita' di persona offesa, per contrasto con gli artt. 3, 101 e 112 Cost.; Considerato che in effetti la questione non appare manifestamente infondata poiche': non sembra ragionevole la previsione di un identico regime processuale con cui sono disciplinate situazioni del tutto differenti, essendo riconosciuta la facolta' di non rispondere anche nel caso in cui l'imputato rivesta l'ulteriore qualita' di persona offesa di reato connesso o collegato addebitato ad altro imputato nel medesimo dibattimento; in questo caso, infatti, premesso che la ragione del riconoscimento del "diritto al silenzio" dell'imputato e' da ravvisare nella esigenza di evitare che egli debba autoaccusarsi, tale esigenza non sussiste, dato che l'imputato e' chiamato a rispondere soltanto sulle circostanze relative al reato (presunto) dal quale e' stato offeso (fermo restando il principio che comunque non gli sarebbero rivolgibili domande che comportassero una sua responsabilita' penale); l'attuale disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 210/4 e 513 c.p.p., come emendati dalla Corte costituzionale, puo' violare effettivamente anche il disposto dell'art. 101 Cost., in quanto l'esito della decisione del giudice viene a dipendere dall'atteggiamento processuale che ritenga di assumere l'imputato, che gode attualmente del diritto potestativo al silenzio, di tal che il giudice non sarebbe soggetto soltanto alla legge, ma le sue decisioni sarebbero rimesse alla volonta' potestativa dell'imputato; vi sarebbe inoltre effettivamente anche violazione dell'art. 112 Cost., poiche' l'attuazione della giurisdizione, principio connesso sostanzialmente a quello della obbligatorieta' dell'azione penale, dipendendo dalla volonta' potestativa dell'imputato far assumere o meno al giudice degli elementi di prova, non sarebbe assicurata nei casi de quibus, il cui esito processuale viene rimesso in sostanza alla decisione di altri e non del giudice; la concreta situazione che si e' venuta a creare nel presente processo, non e' neppure risolvibile mediante la diretta applicazione dei principi di cui all'art. 111 Cost., applicazione consentita dalla legge n. 35/2000, poiche' da tali principi risulta semplicemente rafforzato il criterio dell'assunzione della prova nel contraddittorio; Ritenuto che la questione e' rilevante, poiche' e' ancora attuale la richiesta del pubblico ministero di procedere alla formulazione di domande ai suddetti imputati sui fatti in cui rivestono la qualita' di persone offese, e d'altra parte la definizione della posizione del coimputato Chiappini dipende anche dalla possibilita' di far si' che i coimputati Sole e Cascino rispondano a tali domande;